REPORTER DI PACE
Reporter di Pace
Il mondo vistc dai ragazzi
D“La pace negli occhi dei bambini”. Questo il tema scelto dalla Presidenza del Consiglio Regionale per la Festa della Toscana 2004, istituita per celebrare e ricordare il 30 novembre 1786, quando il Granduca Leopoldo decretò la soppressione della pena di morte nella nostra regione. “Reporter di pace” è stata una delle molte iniziative promosse dal Comune di Scandicci in occasione della Festa. Gruppi di studenti delle scuole, dalle medie alle superiori, insieme ai loro professori, partendo da una riflessione sulla pena di morte, si sono misurati con i temi che, secondo loro, hanno contraddistinto quest’anno e che li hanno maggiormente colpiti: la pace, la guerra, il terrorismo. Il risultato di questo lavoro ha prodotto testimonianze, racconti, punti di vista, emozioni, sentimenti, desideri e speranze che sono state presentate nel corso di una mattinata che si è tenuta all’Auditorium dell’ Istituto Russell–Newton il 25 novembre. In questo numero di Ccn, l’ultimo del 2004, proponiamo una selezione dei molti lavori realizzati.


LA PENA DI MORTE
Nel novembre 1876,
una notizia a cui
si dà del lei Giunse
in Toscana dove
si fece festa
per una settimana!
Con Leopoldo,
il grande Duca,
le teste rimanevan
sulla nuca,
e dal capo
non cadeva la feluca.
Venne abolita la pena
di morte, a nessuno
toccò più l’orribile sorte

(Daniele Minà
Scuola Spinelli
Rodari IIIB)
Le due immagini che vi proponiamo mostrano due opposti punti di vista in merito alla pena di morte. Si tratta di due stampe del 1700 e l’allegoria è molto chiara: la Giustizia che ripudia la pena capitale mentre nella seconda la riaccoglie. La prima risale al 1764, anno della pubblicazione dell’opera “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria, la seconda è del 1772 e ripropone la necessità della pena capitale. Sono passati circa tre secoli e il problema è più che mai attuale. Immaginate di essere condannati a morte per un crimine che non avete commesso...ebbene è ciò che pochi anni fa Nick Yarris, William Nieves e Ray Krone hanno provato rispettivamente per ben ventidue, sei e dieci anni sulla propria pelle. Nel loro caso il destino è stato, se si vuole, clemente perché, seppure dopo anni di ingiusta detenzione, essi si sono ritrovati nella lista dei 122 “fortunati” innocenti sfuggiti al braccio della morte. È vergognoso pensare che nel terzo millennio stati civili e progrediti come gli Stati Uniti e il Giappone usino ancora come metodo di prevenzione e dissuasione dal crimine veri e propri omicidi legalizzati che, sia concettualmente che praticamente, si possono paragonare all’attuazione della faida barbarica che aveva come scopo non la protezione della società, bensì la cruda vendetta (se nell’antichità, infatti, i condannati venivano gettati da rupi rocciose, crocifissi, messi al rogo, lapidati, ghigliottinati, oggi si usano mezzi all’avanguardia, quali iniezione letale, sedia elettrica, camera a gas e la classica impiccagione e fucilazione, mezzi che comunque possono avere più di una complicazione).
Se esaminiamo il problema della pena di morte sotto il profilo sociale e civile, rileviamo che le ragioni portate a giustificarne l’esistenza sono tre: la protezione della società, la dissuasione dal crimine e l’espiazione/compensazione del male fatto. La società ha il dovere di difendere i suoi membri contro i criminali ma non ha il diritto di rispondere al male con dell’altro male. È possibile proteggere la società con la detenzione in carcere, in una maniera più umana, quindi, e non barbara. L’eliminazione fisica del delinquente, inoltre, non è necessariamente una forma di dissuasione dal crimine come, per bocca di Montaigne, in passato molti hanno affermato: – “Non si corregge colui che è impiccato, si correggono gli altri per mezzo suo!”
In effetti per molti secoli si è pensato che il principio della vendetta germanica potesse coincidere con il concetto cattolico di espiazione e di allontanamento dal crimine. Ma togliere la vita come forma di contropartita al male subito è un meccanismo che nega la vita, non restituisce, comunque, la vita a chi è stata tolta; è quindi “una compensazione nella morte, nel male e non nella vita e quindi nel bene”.
A livello di deterrente, le statistiche mondiali ci dicono chiaramente che non c’è stato aumento di crimini nei paesi in cui la pena di morte è stata eliminata.
Gli omicidi, molto spesso avvengono in momenti di particolare ira oppure sotto l’effetto di droghe o di alcool oppure in momenti di grande panico. In nessuno di questi casi si può pensare che il timore della pena di morte possa agire da deterrente. Se poi pensiamo alla mentalità di chi opera in ambito terroristico, risulta evidente lo scarso valore dissuasivo che potrebbe avere tale tipo di condanna dato lo scarso valore che tali individui attribuiscono alla propria vita che viene, comunque, sacrificata in onore della propria causa.
“Noi non dobbiamo fare della legge soltanto uno spauracchio, sbandierandola a intimorire gli uccelli da preda per poi lasciare che serbi sempre la stessa forma, fino a che l’abitudine la muti a causa del terrore che è innanzi a loro…” Così recita una frase di William Shakespeare [1598].
Questo passo, inoltre leggiamo nell’opera “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria: “Non è utile la pena di morte per l’esempio di atrocità che da agli uomini. Parmi assurdo che le leggi che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettano uno esse medesime e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio”. Se questo può sembrare giusto, per qualcuno, nei confronti di chi si è realmente macchiato di crimini atroci, bisogna sempre tener presente che le condanne vengono inflitte da uomini che, come tali, possono sbagliare e che non rappresentano un sistema di giustizia assoluta ed infallibile.
Nel duemila George Ryan, governatore dell’Illinois, sostenitore della pena di morte, è arrivato ad affermare: “Non posso dare il mio appoggio ad un sistema che nella sua materiale applicazione ha dimostrato di essere troppo fallace e troppo vicino all’incubo finale, per la fine di una vita innocente per mano dello stato”.
È quindi dovere morale di ognuno riflettere su quanto detto, soprattutto per noi giovani toscani che vantiamo l’abolizione della pena capitale nella nostra regione addirittura dal 1786 per mano di Pietro Leopoldo I Granduca di Toscana.

IV M - Liceo Artistico
Leon Battista Alberti
Succursale di Scandi

Reporter di PACE

“In questo mondo non si vedono altro che fulmini, saette, grandini.
Vorrei un ombrello per coprire tutta la gente, anche quella cattiva.”
(Scuola media Gianni Rodari, IIC)
IL FIORE DELLA PACE
La parola pace, tanto sospirata dall’umanità nel corso dei secoli e tanto evocata e desiderata, come gli alberi che attendono a gloria il sole del mattino, ma anche tanto odiata e combattuta con infiniti pretesti, è assieme all’amore il fondamento stesso della vita. Solitamente per pace intendiamo l’assenza di guerre, ma in verità essa significa alquanto di più, non solo l’assenza di grandi effusioni maligne, come guerre o stragi, ma soprattutto il rispetto per tutte le altre forme di vita, od almeno per tutti gli altri umani, indistintamente dalla religione praticata, o dalla diversa cultura, o colore della pelle, ecc; questa sarebbe la vera pace.
Tuttavia nonostante l’umanità esista su questo mondo da almeno un milione d’anni, essa si è puntualmente attenuta alle previsioni del filosofo anti-democratico Thomas Hobbes, che credeva che “Homo lupus est Homini”, ossia l’uomo è come un lupo per gli altri uomini. Ovviamente nella specie umana non esiste solo il male, anzi esso occupa solitamente una piccola porzione della sua mente e del suo cuore. Oggigiorno, benché molte oscurità siano state vinte e moltissimi paesi vivano in pace, prosperità ed in armonia con gli altri, nel mondo vi sono ancora guerre, omicidi, stupri, stragi, rapine ed altro; ma tutto ciò, anche se può parere strano, esiste perché non si è ancora riusciti ad insegnare agli uomini il valore della diversità ed il rispetto per il diverso.
Un ragazzo vestito in modo non convenzionale, o con idee ed atteggiamenti non ordinari, può essere allontanato dai suoi coetanei e perdere persino le sue amicizie, non già per riposte ragioni, ma solo perché “non è normale”, intendendo con “normalità”, gli atteggiamenti che sono più diffusi.
Un sacerdote che esprimesse posizioni “ereticali”, ossia contrarie ai “sacri dogmi”, verrebbe scomunicato, espulso e maledetto, (un tempo addirittura torturato ed arso vivo), solo perché ha espresso la sua opinione, (e pensare che Dio ci concesse addirittura la possibilità di scegliere il Male liberamente……) ed infine, una nazione può aggredire un’altra con diversi costumi, perché ritenuta “inferiore” e dunque dominabile. Insomma, credo che da ciò che ho detto si possa capire che le radici di una guerra, o più genericamente del Male stiano sempre e solo nella superbia e dunque nel desiderio di impossessarsi di risorse altrui, o di dominare il prossimo e di “convertirlo” alle proprie ideologie ritenute “superiori”. Persino nelle varie teologie, il male un tempo era un settore del bene poi decaduto a causa della sua superbia, si pensi al Lucifero del cristianesimo, od al Melkorn di Tolkien, od al Seth della religione Egiziana.
Recentemente come ben sappiamo è scoppiata una crudele guerra in Iraq, ufficialmente al nobile scopo di abbattere l’empio tiranno di Baghdad, Saddam Hussein, poi detronizzato ed arrestato, ma sicuramente, oltre a ciò, l’occhio degli Stati Uniti d’America e del loro presidente George W. Bush si è concentrato su questo stato anche per dominare i suoi pozzi petroliferi e le sue risorse e ciò ha ovviamente portato i crudeli terroristi di Moqtah Sadhi Ad Al Sadr e di Muhammad Moqtah Al Zarquawy a lanciare feroci e disumani attacchi agli occidentali, facendo ricorso anche a rapimenti e decapitazioni abominevoli, dalla fortezza di Fallujah. Questo è un esempio attuale e tangibile degli atroci danni che ha provocato la superbia di Saddam Hussein prima e del presidente Bush poi, poiché egli ha levato le armi contro il tiranno, non per liberare il popolo Irakeno, ma per vendicarsi del nemico che tanti lutti addusse a suo padre.
E’ impossibile distruggere un maligno usando sentimenti oscuri, poiché facendo così si sostituirà una tirannide con un’altra, meno greve ma egualmente aborrita. Benché il Male in essenza non sia probabilmente annientabile dai mortali, (perché, come asseriva il filosofo Empedocle d’Agrigentum, forse non esisterebbe la vita), potrebbe essere ridotto anche notevolmente se, partendo dai paesi più fortunati, la nuova generazione di giovani imparasse a rispettare ed amare qualsiasi persona non eguale a loro ed a fuggire la superbia come il peggiore dei mali, incrementando il volontariato sociale e le iniziative di scambi interculturali. Credo che gli stati democratici e prosperi, siano potuti divenire così, non per arroccarsi stolidamente sui loro privilegi, ma per diffondere la pace, la solidarietà, la libertà e la democrazia, là ove vi sono le tenebre della guerra, dell’indifferenza e della tirannide. Anche le chiese ed una in particolare, dovrebbero, anzi devono, cessare di condannare chi non la pensa come loro e di tenere la gente a loro legata con la paura dell’inferno, ma dovrebbero aprirsi alle altre culture. Ovviamente, non si può accettare, o rispettare chi è malvagio, esso va combattuto, ma sempre tenendo presenti le leggi d’onore che in ogni guerra dovrebbero, anzi devono essere rispettate.
Auspico che con la nuova generazione, come dice anche Don Alexander Zanotelli, missionario in Kenya, l’umanità possa salvarsi dagli abissi infelici della distruzione che, se non modificherà il proprio andamento, la attenderanno.
(FLAVIO BRANDANI - ISTITUTO RUSSELL NEWTON, IV C)



…E LIBERACI DAL MALE
“He’s fucking he’s fucking dead”. Poi uno sparo. “Dead now”. Parole agghiaccianti, immagini che arrestano per un attimo ogni pensiero, che scuotono lo spettatore con mille brividi e niente di più. L’ennesimo episodio di morte in una guerra che si protrae da ormai due anni, senza sosta. La sede degli scontri è Falluja, roccaforte della guerriglia sciita in Iraq. Ormai da giorni si protraggono gli scontri tra marines e guerriglieri iracheni.
L’evento incriminato risale a martedì 16 novembre. I soldati americani attaccano una moschea, in cui si dice siano rifugiati alcuni mujahidin, i combattenti della Jihad. I cinque guerriglieri, feriti, non sono stati soccorsi e hanno incassato ulteriori colpi, a causa di un nuovo attacco, il giorno seguente (martedì 16, appunto). A questo punto fa il suo ingresso un nuovo gruppo di marines. Alcuni feriti si muovono, altri parlano, quello “incriminato” fa finta di essere morto. Un soldato si avvicina, si sentono alcune frasi, poi punta il suo fucile M-4 ad un metro di distanza dalla testa del ferito e spara. Il corpo sussulta tra la polvere. “Dead now”. Da cosa può essere causato un atto tanto crudele? Come può un uomo, uno dei tanti giovani che compongono l’esercito americano, sparare ad un uomo morente? Dove sta la logica in tutto questo? Non c’è. La guerra non ha più limiti. Travolge tutto ciò che incontra, si lascia dietro una scia di sangue ancora fresco, ogni giorno rimarcato da nuove vite spezzate. Non siamo più neanche capaci di rispettare i diritti dell’uomo, tanto duramente acquisiti nel corso della storia! Nel 1949, con la Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra, firmata anche dagli Stati Uniti, fu stabilito che alla fine di un combattimento i soldati malati, feriti o disarmati dovessero essere trattati con “umanità”. Uccidere è umano? No. L’odio, la follia, l’esasperazione, la paura guidano ormai ogni azione umana. Il soldato che spara ad un uomo inerme non è altro che un individuo “umanamente morto”, un individuo ricolmo d’odio per colui che gli sta davanti, per il deserto che lo circonda, per il diverso. Il mondo delle parole (orali o scritte) è tanto lontano dalla sede dei combattimenti quanto la Casa Bianca da quella moschea di Falluja. Ci sono soldati che riescono a mantenere un po’ di sentimento, che distinguono il nemico dall’uomo morente, che possono adoperarsi con un gesto di umanità. Ma ciò succede sempre meno di frequente, tanto che un uomo in guerra perde tutta la sua carità. Un uomo in guerra non è più capace di essere responsabile delle proprie azioni. Un uomo in guerra può solamente fare del male e provare gusto nel farlo. Per questo l’intera umanità dovrebbe ripudiare ogni forma di guerra, preventiva e non, cercando vie alternative per risolvere i conflitti tra Paesi tanto diversi tra loro quali quelli del nostro pianeta.
(VALENTINA RUSCILLO - ISTITUTO RUSSELL NEWTON)

NON È STATO UN ANNO COME GLI ALTRI
“L’Italia, come forse tanti altri paesi nel mondo, sta affrontando un periodo molto travagliato. Questo 2004 ci ha fatto conoscere, e ci fa conoscere tutt’ora, solo morte, disastri, guerre e tanti altri avvenimenti che sarebbe meglio non accadessero mai in nessuna parte del mondo. Ma non sono solo le guerre a portare tristezza ad un uomo; io penso che sia una cosa oscena quando al telegiornale si sente che un figlio ha ucciso i suoi genitori, oppure sentire di un giovane ragazzo che per rapina è finito in carcere: tutti avvenimenti che ormai, nel 2004, dovrebbero non esistere più dato che la politica, la società, tutti sono vicini ai cittadini ed ai loro singoli problemi. Con che coraggio si potrebbe dire che il 2004 è un anno come tanti altri?”
(GAIA BENEDETTI - ISTITUTO TECNICO SASSETTI, IV A)

BESLAN, L’ATTENTATO PIÙ VIGLIACCO
“Ci sono stati attentati terroristici che hanno scosso il mondo: Nassirya, Madrid, Ossezia, per esempio. A Nassirya molti italiani persero la vita mentre svolgevano il loro lavoro perché un camion pieno di esplosivo si schiantò contro l’edificio; a Madrid era stata messa una bomba nella stazione e fatta esplodere nelle ore più affollate, mentre moltissimi cittadini stavano andando al lavoro; infine l’attentato in Ossezia che, a mio parere, è stato quello più spietato e vigliacco perché i terroristi se la sono presa con i bambini: era il loro primo giorno di scuola e per molti anche l’ultimo (…) Possiamo scrivere le nostre idee su un foglio, possiamo gridare tutti insieme “basta!”, ma non credo che tutto ciò possa servire più di tanto. Ci vuole giustizia, ma chi può aiutarci? Io sono solo una ragazza sedicenne e purtroppo non posso fare niente per far sì che nel mondo domini la pace.”
(SILVIA BERZI - ISTITUTO TECNICO SASSETTI, II A)



LA GUERRA…?
“La guerra è brutta: distrugge case, persone, paesi interi. I vincitori, alla fine di una guerra, non esistono: tutti e due i nemici perdono le loro case, migliaia di persone, in una guerra che, forse, sarebbe stato meglio ragionare di più prima di farla scoppiare. La vita è quasi sempre difficile da vivere e da capire in delle circostanze. Purtroppo noi che ci lamentiamo sempre forse non ci ricordiamo che nel nostro mondo ci sono persone che ancora adesso, per colpa della guerra, muoiono di fame, vivono in povertà, non hanno più i loro genitori e devono andare a lavorare per una paga irrisoria. Molti bambini del terso mondo ci invidiano perché desiderano andare a scuola e non essere ignoranti per tutta la vita, senza che qualcuno gli sfrutti, lasciandogli i loro diritti: mangiare, studiare, giocare e divertirsi come gli altri bambini del mondo.”
(LETIZIA ROSELLA - ISTITUTO RUSSELL/NEWTON)

LA PACE SECONDO ME
“Ho sempre pensato che la pace non fosse solo una bandiera ma un vero e proprio sentimento che ti induce a fare del bene se tu lo coltivi nel cuore come l’amore e la speranza che un giorno non ci sia bisogno di dire in continuazione "pace". La Pace può essere uno stato dove non c’è guerra, un accordo tra persone nella vita sociale o nei rapporti privati, un senso di calma, serenità e tranquillità.
Invece la guerra è un conflitto che può durare o finire, finire presto o dopo un disastro. La guerra è anche una zona, la zona piena di odio e di morte, perché in guerra muoiono troppe persone e anche innocenti: soprattutto innocenti.”
(CLAUDIA MORELLI - SCUOLA MEDIA ENRICO FERMI, 3C)

REPORTER DI PACE
Donne di PACE
Nella nostra idea collettiva associamo alle armi la guerra, ma esistono strumenti di violenza, che differiscono dagli usuali cannoni e fucili, capaci di essere terribili ed immorali. Conflitti armati ed instabilità conducono ad un aumento della violenza sotto ogni forma, compreso lo stupro ed abusi di tipo sessuale. Durante i conflitti, la violenza verso le donne è frequentemente usata come arma di guerra. (…)
“Nolambo, una ragazza sedicenne fu stuprata da tre soldati in un campo vicino a Ura, nella provincia del Kivu sud, nella Repubblica democratica del Congo. I soldati avevano sparato alla madre che cercava di proteggerla. Dopo la violenza Nolombo non poteva camminare e fu portata in ospedale. Poiché non disponeva di denaro non le fu rilasciato alcun certificato che attestasse lo stupro subito. L’Ufficio per il coordinamento degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite ha calcolato che, tra l’ottobre 2002 ed il febbraio 2003, nella zona erano state stuprate qualcosa come cinquemila donne, in media quaranta al giorno”. Le cause della violenza sulle donne non sono determinate soltanto dai conflitti armati, ma sono condizionate anche da fattori religiosi, sociali o d’onore. Soprattutto nelle regioni islamiche la cultura religiosa sottomette la donna ad una serie di regole (astensione dal tradimento, scelta del marito, velo, ecc.) le quali, se infrante, possono comportare la pena della detenzione o addirittura l’uccisione della donna da parte dei familiari. “La diciannovenne Fatima fu ferita da colpi d’arma da fuoco alla gamba dal marito davanti alla famiglia di lui il 21 maggio 2003. Fatima era sposata sin dall’età di 12 anni e veniva trattata come una serva e picchiata regolarmente dai parenti del marito. Il giorno in cui le spararono Fatima aveva cercato di andare via e di tornare alla sua famiglia, la quale l’aveva rimandata indietro…” Il caso di Fatima non è un episodio isolato: tra le mura domestiche, in ogni nazione, civilizzata o meno, ricca o povera, in tempo di pace o di guerra, la donna è in egual misura discriminata. La violenza domestica è insita nella nostra società e persevera nel causare vittime. “Alicia era una donna spagnola che subiva quotidianamente violenza dal proprio marito. Lui la insultava, la minacciava, la picchiava per i motivi più banali. Alicia viveva nella costante paura del marito tanto che, nel gennaio 2002, dopo quattordici anni di matrimonio, decise di lasciarlo per andare a vivere in un albergo messo a disposizione dallo stato. Dopo essere stato lasciato il marito continuò a minacciarla. Un giorno, dopo quattro mesi dalla separazione, suo marito l’avvicinò e l’accoltellò a morte”. Dopo la morte di Alicia, i familiari hanno fondato, con tante altre persone coinvolte nel problema, un’organizzazione che mira a garantire una reale protezione alle donne vittime di abusi e violenze. In molti casi, infatti, i tribunali non danno il necessario peso alle denunce di donne che hanno subito minacce di morte ed aggressioni da parte dei propri uomini. Oppure non riescono a prendere misure efficaci contro questi. Inoltre i centri di accoglienza, i rifugi e gli appartamenti in cui le donne vittime di violenza possono rifugiarsi sono pochi, e pochi sono i finanziamenti dello stato. Per lo più questi centri sono mantenuti grazie allo sforzo di singole organizzazioni non governative, come quella fondata dai familiari di Alicia. Lo stato, il quale dovrebbe garantire i diritti universali degli uomini, si discosta da questi problemi non impegnandosi a sufficienza nelle sovvenzioni e nella creazione di organismi predisposti ad affrontare questo tipo di condizione. La denuncia di questi soprusi getta le basi per una pace mondiale, la quale ha bisogno del sostegno di tutti e della parità tra i sessi.

(ELEONORA GALLO, ANNA PERUZZI,
NINA CAPECCHI, ISTITUTO RUSSELL/NEWTON)

Progetto
"Reporter di Pace"
- “REPORTER DI PACE è un progetto accolto dalla Regione Toscana nel Bando L.R. 55/97 “Interventi di promozione per una cultura della pace”
- REPORTER DI PACE ha fatto parte del programma della Festa della Toscana 2004
- REPORTER DI PACE
Organizzazione e coordinamento
Comune di Scandicci Assessorato alla pubblica istruzione
Redazione di Città Comune Notizie

Si ringraziano per la collaborazione:
le scuole medie di Scandicci, l’Istituto Russell-Newton, il Liceo Artistico Leon Battista Alberti –succursale di Scandicci, l’Istituto professionale Sassetti- Peruzzi e Controradio

Si ringraziano per la partecipazione:
Le ragazze ed i ragazzi del Leon Battista Alberti, del Sassetti Peruzzi e del Russell Newton: Leonardo Bertelli, Elisa Bencini, Tommaso Tocchini, Alessio Pagnotta, Giulia Vettori, Shiney Tassini, Brenda Brazzano, Marty, Caterina Fusi, E. Fabiani, Valentina Suraci, Jennifer Meacci, Carolina Vignolini, Denise Ferraiuolo, Silvia Berzi, Martina Innocenti, Letizia Rosella, Gaia Benedetti, Flavio Brandani, Federica Martelli, Valentina Ruscillo, Giulia Chianese, Eleonora Gallo, Anna Peruzzi, Nina Capecchi e la classe IVm dell’artistico Alberti

La classe II c della scuola media Gianni Rodari:
Arianna Magnelli, Niccolò Turrini, Anastasia Morelli, Caterina Zaccariello, Lisette Gaia Moraquero, Teresa Naldi, Jonis Nikaj, Federica Casini, Fedra Bruno, Laura Nardini, Evelina La Cava, Viviana Prata, Francesca Pinna, Giulia Gheri, Gabriele Simeoni, Margherita Bensi, Jessica Nocentini, Ginevra Fantini , Lisa Farolfi

Le classi IIa, IIf e IIIc della scuola media Enrico Fermi:
Lucrezia Ficozzi, Francesca De Marco, Elisa Emelino, Viola Verniani, Sara Morganti, Matteo Oreto, Alice Pasquini, Valentina Innocenti, Lorenzo Cavina, Claudia Morelli

Un ringraziamento particolare
a tutti i professori che li hanno seguiti
Le foto partendo dall'alto:
1-Festa della Toscana al Palazzetto dello sport di Scandicci
2/3-Bandiere per la Pace disegnate dai bambini
esposte in Piazza Matteotti.
4-Balletto tradizionale palestinese di bambini
e bambine del campo di Shatila