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VIETATO ARRENDERSI

Va in crisi l’industria dei frigo mignon, 250 lavoratori dell’Electrolux Zanussi rischiano il posto; Matec attraversa un periodo di difficoltà. Sono i numeri di una crisi che colpisce la nostra città, come il resto d’Italia. La sfida per uscire dalla crisi coinvolge tutti i protagonisti di questo territorio, con una certezza: per essere competitivi va giocata fino in fondo la carta della qualità. Senza arrendersi.




21 aprile. Il sindaco davanti alla Zanussi.
“Chiameremo il governo regionale, quello nazionale

e l’UE per affrontare insieme una crisi che è europea”.


Questa è l’ora in cui è vietato arrendersi, un’ora davvero difficile. “Nell’ambito di un processo di razionalizzazione delle produzioni di frigoriferi in Europa, Electrolux (Zanussi, ndr) ha annunciato alcune azioni che coinvolgono anche due fabbriche italiane: Scandicci (Fi) e Susegana (Tv)”. Questo è quanto si legge in un comunicato del gruppo Electrolux datato 20 aprile 2005. Che prosegue dicendo: “Lo stabilimento di Firenze impiega circa 650 persone, delle quali circa 250 a rischio per tale ristrutturazione. L’area di prodotto sottoposta a investigazione a Scandicci è quella dei piccoli frigoriferi alti 85 cm., che sono da lungo tempo soggetti a una forte pressione competitiva, soprattutto da parte di nuovi produttori in paesi a basso costo, con conseguente drammatico calo dei prezzi. In questo settore, infatti, lo stabilimento mostra significative perdite pur producendo 300.0000 pezzi l’anno”. Alla Matec, azienda leader mondiale del meccanotessile, mancano le commesse: per 280 lavoratori cassa integrazione di 13 settimane, con la proprietà che si è impegnata a presentare il piano industriale.
La ditta Ciatti, che fabbrica mobiletti per tv, ha portato la produzione in Romania, e agli inizi di marzo, dopo un accordo sindacale, ha licenziato 34 dipendenti. “La situazione è davvero seria”, dice il sindaco Simone Gheri, che sul caso Zanussi, l’ultimo in ordine di tempo, non ha mezze parole e bolla la scelta del gruppo “inaccettabile ed incomprensibile”. Inaccettabile perché punisce quei lavoratori che hanno realizzato ed accettato da sempre la flessibilità richiesta dall’azienda; incomprensibile perchè dimostra la miopia di un gruppo che non pare comprendere che flessibilità, buone relazioni sociali e collaborazione tra azienda e territorio sono le condizioni migliori possibili per investire, innovare e rilanciare il marchio.
Dice il sindaco, “in questa legislatura il nostro impegno sui problemi del lavoro e della competitività sono le priorità. Così, schierati su due fronti, raddoppieremo gli sforzi: la sfida della progettazione e costruzione della nuova città, ed il massimo dell’attenzione, appunto, a tutte le situazioni economiche e sociali dei lavoratori e delle aziende in crisi o in difficoltà. Il gioco si fa duro e noi, intendo tutta Scandicci, giochiamo. La strategia è quella di attrarre nuovi investimenti e di puntare, nel lungo periodo, su produzioni ad alto valore aggiunto”.
Al di là dei numeri della crisi, per affrontare l’attuale situazione serve avere alcune cose ben chiare in testa: quello che sta accadendo e cosa accade nel mondo e nel nostro paese, dove parecchi settori produttivi sono in crisi; che Scandicci, un’importante realtà produttiva italiana, non poteva essere un’isola felice; che bisogna essere consapevoli della forza e dell’importanza delle scelte compiute nell’ultimo decennio che appaiono determinanti soprattutto se proiettate nel futuro, traghettate al di là della crisi contingente. Perché le due scommesse fondamentali per Scandicci sono quelle di diventare città, abbandonando senza indugi ogni idea e ogni caratteristica di periferia cittadina, e di seguire la via della qualità, in economia così come in tutte le altre attività cittadine.
Vale la pena di ricordarli, questi due concetti, queste due parole chiave: “città e qualità”, appunto, proprio perché forse negli ultimi tempi se n’è abusato, ora è il momento di dimostrare che non erano pillole di slogan vuoti, ma il riflesso di due modelli ben precisi, con la loro mole di opportunità e anche svantaggi, contrapposti ad altrettanti modelli anch’essi spendibili. Il frutto di una scelta, appunto: quando fu deciso di chiamare l’architetto Rogers a fare il nuovo centro, ad esempio, ci fu chi affermò che la strategicità di Scandicci stava nel suo essere avanguardia periferica, una posizione ben motivata e più che dignitosa che però passò come minoritaria nel dibattito politico. Così come la scelta della qualità: la parola diventa un macigno in grado di rovesciare il mondo quando si scopre che i lavoratori delle aziende a rischio sono quelli che possono essere sostituiti da colleghi in altre parti del mondo, dove il lavoro vale meno, solo perché ciò che fanno qui può essere fatto a costi minori altrove, perché non ha bisogno di quel più di conoscenza, di quel saper fare specifico di uno specifico territorio: perché, per dirla in breve, non ha bisogno di esser condito di qualità. [Matteo Gucci]

"Le condizioni per superare la crisi"
INTERVISTA A MARCELLO DUGINI

Marcello Dugini, assessore allo sviluppo economico di Scandicci, ha ben chiara la situazione delle aziende in crisi: ne butta giù per iscritto i nomi; ma su un altro foglio, subito accanto, elenca le opportunità che si prospettano per il nostro territorio. Queste ultime sono il risultato di mesi di colloqui con investitori interessati alla nostra città e ai progetti che la interessano e la interesseranno. “Il tessuto produttivo a Scandicci si deve rimodellare, ovvero si sta già rimodellando. Non è importante fare i nomi degli imprenditori interessati a ‘sbarcare’ qui, e in ogni caso ancora non potrei farveli, ma tanto basta ad articolare un ragionamento che cancella la prospettiva di anni foschi. Intanto dico che è vero che ci sono centinaia di posti di lavoro a rischio, ma dico anche, per esempio, che per un fenomeno legato ai turn over lavorativi il comparto della pelletteria necessita annualmente di 130 nuovi addetti”.
La soluzione di tutto nella pelleteria, insomma?
“No, assolutamente: la moda resta l’ambito strategico di Scandicci, anche perché i suoi operatori condividono le scelte di questa città, le hanno fatte proprie e in parte le hanno anche stimolate; nessuno più di loro ha creduto nell’importanza della qualità, della formazione, della certificazione etica; hanno capito a fondo che è fondamentale stare in questo territorio per essere competitivi nel mondo. Ma finalmente la scelta di investire in qualità, e la consapevolezza del non poter fare a meno della competitività come fattore dominante in un contesto nel quale anche il Comune è un attore fondamentale, apre come un ventaglio una serie di opportunità per i più diversi settori economici: il produttivo, ma anche il commerciale, il ricettivo, la formazione e l’alta tecnologia”.
Qual’è la ricetta della competitività?
“Uno stock di fattori che comprende le industrie, le infrastrutture, la tecnologia, il capitale di conoscenze, la formazione, il contesto sociale e una città ben organizzata”.
Il ruolo degli attori pubblici?
“Devono investire in formazione, infrastrutture, ricerca, mettere insieme università e impresa, offrire gli strumenti per diffondere conoscenza; il territorio dev’essere l’humus dove far crescere le diverse attività. I soggetti pubblici devono anche stimolare gli strumenti finanziari del credito. Il sistema del credito, le banche, devono assumere un ruolo più coraggioso per favorire il sistema produttivo”.
Come può influire la presenza di infrastrutture sullo sviluppo economico?
“Prendiamo ad esempio il progetto per la terza corsia autostradale e tutte le opere connesse sul territorio, le strade nuove che facilitano il lavoro delle aziende, gli interventi ambientali contro il rumore che migliorano la vita dei cittadini e dunque dei lavoratori nel tempo libero, il parcheggio scambiatore con la tramvia e la tramvia stessa che favoriscono la nascita di strutture turistiche, la stazione del tram e il nuovo centro che sono un’opportunità unica per il commercio. Pensiamo alla strategicità del sistema viario, ad esempio, per la presenza del più grande centro logistico della grande distribuzione della Toscana, quello di Unicoop ai Pratoni”.
Ma allora le aziende in crisi?
“Il sistema economico cittadino si deve rimodellare, lo abbiamo detto, un territorio che ha fatto la scelta della qualità diventa un contesto incompatibile per chi invece punta tutto sui costi di produzione: chi decide di fare questo percorso prima o poi va a produrre da altre parti, è quasi inevitabile”.
Si investe davvero in alta tecnologia?
“A Scandicci abbiamo già aziende leader ad esempio nel settore dell’oftalmologia; abbiamo una realtà, la Powersoft, che ha vinto il premio della regione Toscana sull’innovazione, e quello sulla mobilità innovativa a Madrid: produce software e sistemi informativi, vi lavorano 32 dipendenti, e sono quasi tutti ingegneri; a Scandicci hanno trovato il terreno fertile per abbandonare la dimensione pionieristica e diventare una realtà da 5 milioni di fatturato annuo”. [M.G.]


POST-IT
L'ITALIA CHE SCIVOLA

Dice Confindustria (28 aprile, Rapporto sullo stato del Paese): l’Italia è un paese in declino, ultimo in Europa per capacità di essere competitivi. Il reddito procapite nazionale è tornato ai livelli degli anni settanta. Con i servizi più cari (banche, assicurazioni, energia) e l’istruzione più bassa (peggio di noi solo la Turchia). Investiamo in conoscenza e ricerca il 2,3% del Pil: la metà di Francia e Spagna. Da parte sua la Ragioneria di Stato (30 aprile), sulla base del rapporto trimestrale di cassa, ha certificato la riduzione del tasso di crescita dell’economia per il 2005 dal 2,1 previsto all’1,2. Il deficit pubblico potrebbe quindi o arrivare o sfondare il 3.5% del Pil. Se le cifre fossero queste, ha dichiarato il ministro dell’economia Domenico Siniscalco (Corriere della Sera, 30 aprile) “il Governo ricorrerebbe ad una manovra correttiva”.
Una indagine dell’Istituto Demetra (su incarico delle università di Firenze, Messina, Padova, Udine, Urbino e Cattolica di Milano) sui comportamenti dei giovani italiani presentata nel convegno Famiglie, nascite e politiche sociali organizzato dall’Accademia dei Lincei (28, 29 aprile) ha messo in luce quella che gli studiosi chiamano la “sindrome del figliol prodigo”. Un trentenne su cinque dopo aver cercato una vita indipendente torna alla casa dei genitori. E siccome non si lascia più il tetto famigliare solo per sposarsi, i motivi del dietro front sono senso della precarietà ed insicurezza economica. Complessivamente tornano dai genitori il 18% degli uomini ed il 12% delle donne. Ma tra coloro che se ne sono andati da casa dei genitori per motivi di lavoro il 46,5% dei maschi ed il 40% delle femmine è costretto a rientrare.
D’altra parte, secondo uno studio della Camera di Commercio di Milano, svolto su un campione di lavoratori con stipendio medio annuo di 19 mila euro, per arrivare a 78 anni servono più o meno 1 milione e mezzo di euro di cui oltre la metà per spese alimentari, spese per la casa (affitto e mutuo), trasporti e spese sanitarie. I dati di Eurostat (l’organismo di ricerca e statistica dell’UE) su popolazioni e condizioni sociali rilevano che il 7% degli abitanti dell’Europa a 15 è oggi a rischio povertà. Percentuale che per l’Italia sale al 10% (peggio di noi il Portogallo con il 12% e la Grecia con il 13%). Scrive Massimo Livi Bacci (ordinario di demografia presso l’Università di Firenze): “occorre potenziare le prerogative dei giovani, allargare gli stretti varchi d’ingresso alla vita attiva, circoscrivere entro limiti ragionevoli la precarietà connessa alla flessibilità, riattivare i meccanismi di promozione sociale”. A proposito di flessibilità: l’Associazione Direttori Risorse Umane (un network presente in 1.250 aziende medio-grandi) ha effettuato una ricerca sull’applicazione e sugli effetti della legge Biagi su un campione di 66 imprese con un totale di circa 80 mila addetti. L’indagine (presentata a Firenze il 30 aprile durante il Primo Congresso Risorse Umane e Organizzazione) mette in luce che, a diciannove mesi dal varo della riforma sul lavoro, il 64% dei direttori del personale ritiene la legge Biagi di difficile applicazione, il 58% che sta dando scarsi risultati, mentre per il 48% crea precarietà. Se sono molto utilizzati il lavoro interinale (il 79% degli intervistati dichiara che lo praticherà nei prossimi 12 mesi) e ed il lavoro a progetto (nel 2004 utilizzato dall’85% dei direttori del personale), il vero fallimento sembra essere rappresentato dal job sharing (il lavoro ripartito) che solo l’1.5% dichiara di utilizzare, e dal job on call (lavoro a chiamata) al quale afferma di voler ricorrere solo il 12% degli interpellati. Le statistiche, che non sono la realtà, ci aiutano però a comprenderla. E quando i dati di diversi studi sono convergenti nel descrivere una determinata situazione vanno presi sul serio. L’Italia sta scivolando su un piano inclinato. Necessitano una robusta frenata ed una decisa ripartenza. [Claudio Armini]