Giovanni Doddoli
Il mese scorso Scandicci -grazie al progetto Andiamo a scuola da soli- ha ricevuto dal Ministero dell’Ambiente il riconoscimento di Città sostenibile per le bambine ed i bambini. Negli stessi giorni La Repubblica si è occupata della cessazione, da parte del Comune, della distribuzione nelle scuole delle merendine “biologiche” che in gran parte non venivano mangiate perché sostituite da quelle “industriali” che i bambini si portavano da casa. In questa lettera l’Assessore Raspollini mette in relazione i due fatti per dire che una città a misura di bambine e bambini non è solo frutto di materialità, percorsi protetti e attraversamenti pedonali, ma si raggiunge anche attraverso l’affermazione di una più generale cultura ai consumi.

Dalla Parte dei bambini
Lettera aperta di Claudio Raspollini, assessore alla Pubblica Istruzione

L
o scorso 11 ottobre il Comune di Scandicci ha ricevuto il premio quale città Sostenibile per le Bambine e per i Bambini assegnato dal Ministero dell’Ambiente. Il giorno precedente ed il giorno stesso La Repubblica scriveva invece del fatto che il Comune aveva deciso di interrompere la distribuzione nelle scuole delle merendine, che il quotidiano definiva “biologiche”, perché i bambini si portavano da casa quelle “industriali”. Una sconfitta, così chiamava Repubblica questo aver fatto marcia in dietro. Su questi due fatti, che si sono svolti in contemporanea e che per me hanno tra loro una forte relazione, avanzo alcune brevi considerazioni.

La prima:
lo spreco degli alimenti e i diversi comportamenti di insegnanti e genitori riguardo al tema delle merende e delle colazioni. Oggi da più parti si parla di consumi responsabili ed attenti, si parla di lotta contro lo sfruttamento dei bambini, si parla di ecologia e di risparmio nei confronti delle famiglie. S’invita la pubblica amministrazione ad essere attenta ed a promuovere politiche familiari significative.
Si parla di sviluppo sostenibile e spesso si presentano alternative alla mera legge di mercato indicando il Commercio equo e solidale come una delle possibili strade per fare giustizia. Mi chiedo allora come mai quando si parla di tutto questo e s’innalzano le verdi bandiere ecologiche c’indigniamo se l’Amministrazione mette bocca nelle scelte familiari.
Credo veramente che si debba dire qualcosa in difesa e con coraggio dell’universo del bambino, questo sconosciuto che spesso abita sotto il nostro tetto ma di cui mortifichiamo l’individualità per farlo a nostra immagine e somiglianza e quanto siamo orgogliosi quanto più l’immagine risponde al vero. Volete che scendiamo nel concreto ma non volete che critichiamo gli atteggiamenti sbagliati, perché sono frutto di scelte individuali, salvo poi a causa di quelle scelte venire a chiedere un contributo in comune perché i soldi non bastano mai.

La seconda:
se vogliamo una città sostenibile per le bambine ed i bambini dobbiamo essere consapevoli che le scelte non si giocano solo sulla merenda o sulla colazione, ma si giocano anche su altro. Accessori scolastici carissimi perché griffati, a cominciare dagli zaini per finire ai quaderni.
Ultime grida per quanto riguarda le scarpe, le matite colorate, il vestiario che sempre più imita le ultime uscite della moda. Ho letto più volte in lettere scritte da genitori che ora la disparità è data da un bambino che ha una merenda diversa dall’altro. Ma veramente non avete mai guardato cosa indossano?
Quando un bambino vede lo zaino o la maglietta dell’amico che riproduce l’ultima assurdità del mercato giapponese, credete davvero che stia meglio? Che non provi invidia? Che non si senta penalizzato ad indossare scarpe da ginnastica vecchio modello nei confronti di quello che indossa un paio di Nike o di qualche altra marca famosa?
Pensate che questo non sia disparità. Eppure magicamente quando si parla di cibo si parla di mancanza, anzi direi che nella nostra sensibilità ogni privazione culinaria è vissuta come una mancanza d’amore. Siamo veramente, lasciatemelo dire assurdi, pensiamo di compensare altri bisogni dei nostri figli con il cibo o gli oggetti, quando invece non è così.

La terza:
se vogliamo bene ai nostri figli dobbiamo aiutarli a conquistare l’autonomia a vivere e camminare in questa nostra città con consapevolezza e attenzione. Consapevolezza delle difficoltà e dei pericoli che oggi sono presenti, attenzione ai bisogni della nostra famiglia ma anche degli altri.
Mi viene in mente la polemica della nuova sezione di materne da aprire in una scuola dove i genitori dei bambini già iscritti per primi precludevano la strada agli altri da iscrivere, oppure riguardo al personal bus scolastico dove non si volevano far salire i bambini perché il tram stava sempre più somigliando all’orco cattivo delle favole.
Una città sostenibile è quella che pone al centro il bambino, il suo sano sviluppo intellettuale prima di tutto, perché saper ragionare, avere senso critico e capacità di giudizio vale più di un fisico da modello/a.
La cittadinanza attiva si costruisce così impegnandosi in prima persona.

La Fiera come Mito
di Stefano De Martin, direttore di Scandicci Cultura

Si è chiusa la Fiera 2000 che, come da molti anni ormai a questa parte, cerca di coniugare l'interesse commerciale con quello più squisitamente politico e culturale.
Scandicci si riconosce in questo modo di impostare/affrontare i problemi: un po' di diavolo e un po' di acqua santa, in perfetta linea con la tradizione di sano pragmatismo della sua popolazione.
Altrove si parla di commistione di linguaggi, di stili, di contenuti, in perfetto stile multimediale/ipertestuale.
Un grande aggregato urbano che funziona come il cd-rom presentato in fiera sulla storia di Scandicci (dalla preistoria al sindaco Doddoli..); clicchi il tempio della contemporaneità artistica e scopri un cabaret di tre nativi (Katia Beni, Mario Cavallero e Andrea Muzzi), impegnati in gag nazional-popolari con un pizzico di leghismo (Scandicci come ombelico del mondo!). Clicchi gli stand della fiera ed appare un dibattito di alto livello sulle biblioteche del futuro o sulla progettazione urbanistica.
Nessuno pare intenzionato a mettere il cappello su questa città, indirizzandola verso una direzione precisa. la filosofia è da "pensiero debole" (come le scuole in via di autonomia, isole nel bazar formativo!?), consentendo alle varie anime di crescere, confrontarsi, ignorarsi.
Anche l'ente locale, "grande fratello" di questa comunità quando era in via di definizione, si sta gradualmente ritraendo per lasciare il posto ad un brulichìo anarchico e vitalistico di soggetti.
La più importante concentrazione artistica del territorio (il Teatro Studio) declina il suo nuovo programma sul tema del mito (idea forte del cuore e del pensiero) come a segnalare la necessità di presidiare il polo del mercato con il "sogno di una cosa".