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Teatro Studio, il 6.2 “Nulla è andato perso” apre la stagione 2016 con gestione Teatro della Toscana

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I protagonisti di La stagione 2016 del Teatro Studio Mila Pieralli (via Donizetti 58, Scandicci) con la nuova gestione della Fondazione Teatro della Toscana, parte sabato 6 febbraio 2016 alle 21 con la prima nazionale del live-racconto di Gianni Maroccolo “Nulla è andato perso”, con la regia visiva di Giancarlo Cauteruccio. “Il Teatro Studio Mila Pieralli di Scandicci entra a pieno titolo nel sistema della Fondazione Teatro della Toscana – dicono i nuovi gestori - la visione policentrica che ha ispirato fin dall’inizio il progetto della Fondazione Teatro della Toscana si amplia oggi nel raggio della geografia metropolitana fiorentina con Scandicci e il suo Teatro’. Tra i nomi di un cartellone che durerà fino all’estate, Medea di Gabriele Lavia con Federica Di Martino, Licia Maglietta, Marco Baliani, l’inedito Le nostre donne di Eric Assous con Manuele Morgese, Edoardo Siravo ed Emanuele Salce, la Gertrude di Laura Piazza scritta dal poeta Davide Rondoni. Da metà giugno a metà luglio un mese di lavoro sul Bardo con SHAKESHAKESPEARE e un Romeo e Giulietta con gli allievi del Corso di Formazione per Attori “Orazio Costa” e la supervisione di Pier Paolo Pacini, che si occuperà anche delle attività sul posto del Centro di sviluppo dell’espressione e della creatività umana insieme a Iacopo Braca di Beyouman Academy.

“Il Teatro Studio ha una storia importantissima nell’ambito culturale metropolitano fiorentino, regionale e nazionale degli ultimi tre decenni – dice il Sindaco di Scandicci Sandro Fallani – è nato dalla volontà di una donna eccezionale, il Sindaco Mila Pieralli che scelse la cultura per rappresentare l’identità di questa nuova città; l’identità quasi unica in Italia di una giovane comunità, affermatasi grazie alla vocazione a sperimentare, a cercare nuovi linguaggi nella contemporaneità, con esperienze esclusive nel teatro come quelle dei Magazzini Criminali e dei Krypton. Una città e una comunità che in questo tempo si sono evolute, sono cresciute, hanno assunto un ruolo di primo piano nella città fiorentina, e sono pronte ad affrontare una nuova stagione culturale, con un soggetto gestore di livello indiscutibile che ha già dimostrato entusiasmo per questa realtà e piena disponibilità alla collaborazione. Buon lavoro a tutti coloro che da oggi lavoreranno in questo teatro e il grazie più sincero a chi vi ha lavorato fino ad oggi. E l’invito a tutti i cittadini a venire a vedere gli spettacoli di altissimo livello e a frequentare i corsi di formazione al Teatro Studio”.

“C’è una nuova sfida per la Fondazione Teatro della Toscana, che si aggiunge alle tante già intraprese in questi dodici mesi che sono trascorsi dal riconoscimento di Teatro Nazionale, una sfida che si chiama Teatro Studio ‘Mila Pieralli’ di Scandicci – spiega la Fondazione Teatro della Toscana - Una sfida che significa completamento di un sistema che dopo la scala regionale si assesta anche nella geografia metropolitana fiorentina, e che si è dotato nelle ultime settimane anche del Teatro Niccolini, riaperto dopo vent’anni. Scandicci, la città che più ha mutato il proprio volto negli ultimi anni e che più si è connessa a Firenze; Scandicci, che significa anche un percorso teatrale segnato da importanti esperienze nel campo della ricerca. Intraprendere un nuovo cammino significa, per il Teatro della Toscana, tenere conto di tutti questi fattori per proporre un itinerario nuovo, che sappia far tesoro della storia e connettersi fortemente al tessuto della città, alle sue specificità, al suo rinnovato aspetto urbano, alle sue tante eccellenze soprattutto in campo formativo”.

La prima parte della stagione, che possiamo considerare come la cerniera di una porta che si apre verso il futuro, sarà l’espressione piena di quella visione policentrica che ha ispirato fin dall’inizio il progetto del Teatro della Toscana. Il 6 febbraio parte dal Teatro Studio Nulla è andato perso, il live-racconto di Gianni Maroccolo che nasce anche grazie all’azione del Teatro della Toscana e che poi girerà teatri e club di tutta Italia. Racconto di una carriera che si salda al Teatro Studio grazie alla regia visiva di Giancarlo Cauteruccio, che tornerà poi protagonista in date da definire col suo Trittico beckettiano e più in generale renderà la sua testimonianza di maestro del teatro nei vari spazi della Fondazione, e di nuovo a Scandicci con l’esperienza ormai ultradecennale di Zoom Festival.

Dall’1 al 6 marzo la Medea di Gabriele Lavia, nata per i teatri di pietra e trasformata in versione indoor, una potente riflessione contemporanea sul valore di questo testo antico.

Il 18 e 19 marzo Ghertruda la madre di A. di Davide Rondoni, con Laura Piazza e la regia di Filippo Renda, inizierà a spostare il discorso verso una riflessione su William Shakespeare, nel 400° anniversario della sua morte.

Dal 12 al 14 aprile farà tappa a Scandicci una parte del programma che il Teatro della Toscana nelle sue varie sedi dedicherà agli storici Teatri Uniti: in scena Manca solo la domenica di e con Licia Maglietta, omologo tratto da un romanzo di Silvana Grasso.

Dal 27 al 30 aprile ancora un testo contemporaneo, mai rappresentato in Italia: Le nostre donne del talentoso drammaturgo Eric Assous, diretto da Livio Galassi e interpretato dal terzetto composto da Manuele Morgese, Edoardo Siravo ed Emanuele Salce.

Chiude questo trittico nei giorni dal 6 all’8 maggio Trincea, lo spettacolo che Marco Baliani ha dedicato alla Prima Guerra Mondiale.

Il passaggio tra primavera ed estate rappresenterà l’apertura completa della porta di cui si diceva sopra, grazie a due esperienze che si salderanno per andare a costituire uno dei filoni di lavoro caratteristici della nuova visione del Teatro Studio di Scandicci.

La prima riguarda l’apertura di un “presidio” del Centro di Avviamento all’Espressione, la scuola del Teatro della Toscana ispirata al Metodo Costa. Il Centro di sviluppo dell’espressione e della creatività umana, in collaborazione con la Beyouman Academy, sarà un polo non convenzionale per la formazione umana. Un centro di sperimentazione sull’espressione che non riguarderà la formazione teatrale (che il Cae già svolge al Teatro della Pergola con i suoi Corsi Informativi e con il Corso di Formazione per Attori “Orazio Costa”), ma che esplori le possibilitàformative espressive creative e comunicative dell’uomo moderno. L’obiettivo generale è il recupero e lo sviluppo di un naturale istinto espressivo, sia comunicativo che emotivo, attraverso e per mezzo di un vero e proprio training basato sul metodo mimico e sulle esperienze della Beyouman Academy, e di fornire strumenti utilizzabili concretamente negli ambiti della creatività, della gestione della emotività e della comunicazione.

Il Centro aprirà fin dal mese di marzo un corso aperto a tutti, che sarà preceduto da un incontro pubblico di orientamento, per impostare un lavoro destinato in parte a confluire in quello che sarà il grande evento estivo pensato dal Teatro della Toscana per la città di Scandicci: SHAKESHAKESPEARE, un mese di lavoro sul Bardo da metà giugno a metà luglio, suddiviso in due parti. La prima laboratoriale, con eventi performativi che coinvolgeranno anche il tessuto urbano di Scandicci. La seconda spettacolare, con una rappresentazione “all’inglese” nel parco dell’Acciaiolo di Romeo e Giulietta con gli allievi del Corso di Formazione per Attori “Orazio Costa” e la supervisione del coordinatore del Cae stesso, Pier Paolo Pacini, che si occuperà anche delle attività del Centro di sviluppo dell’espressione e della creatività umanainsieme a Iacopo Braca di Beyouman Academy.

  

TEATRO STUDIO ‘15 / ‘16

 

6 febbraio, ore 21

Lilium

in collaborazione con Fondazione Teatro della Toscana

NULLA È ANDATO PERSO

da Via de’ Bardi 32 a vdb23

musica & parole di Gianni Maroccolo, Claudio Rocchi, Litfiba, Andrea Chimenti, Csi, Pgr, Marlene Kuntz, Franco Battiato, Beau Geste, Beautiful, I.G., Tuxedomoon, Franco Battiato, Talk Talk, Joy Division, Vinicio Capossela, Faust’O

eseguite dal vivo da

Gianni Maroccolo, basso & electronics

Antonio Aiazzi, tastiere, synth, fisarmonica

Andrea Chimenti, voce, pianoforte

Beppe Brotto, esraj, sitar, double guitar

Simone Filippi, batteria & electronics

ambientazione e regia Giancarlo Cauteruccio

Forte di una gloriosa carriera artistica ultra trentennale, Gianni Maroccolo per la prima volta affronta un importante progetto a suo nome collocandosi al “centro" del palco. Nulla è andato perso è un viaggio nel viaggio: da Via de’ Bardi 32, la storica cantina fiorentina dei Litfiba dove tutto ebbe inizio nel 1980 fino a vdb23, l’ultimo lavoro del 2013 condiviso con il compianto Claudio Rocchi. Lo spettacolo debutta al Teatro Studio ‘Mila Pieralli’ di Scandicci, luogo a cui Marok è molto affezionato, con ambientazione e regia a cura di Giancarlo Cauteruccio. Da lì inizierà la tournée nazionale in quegli spazi che da sempre Maroccolo ha privilegiato per le sue innumerevoli performance.

Nulla è Andato Perso è un vero evento nel panorama musicale contemporaneo che vede Gianni Maroccolo raccontarsi e raccontare anni cruciali di un’epoca importante della musica italiana. Un racconto speciale affidato alla essenza della musica, della passione, degli incontri, della condivisione e di tutte le sfide che Gianni ha affrontato e vinto con l’autenticità che lo contraddistingue. Di seguito Maroccolo spiega con sentimento il progetto, esponendo alcuni dei nomi con i quali in questi lunghi anni si è confrontato. Così facendo offre una esaustiva chiave di lettura di ciò che proporrà con grande cura, gioia, divertimento e lucida memoria, nei palcoscenici che lo ospiteranno.

“Per la prima volta un passo in avanti ad arrivare fino al centro del palco. Non è più il tempo per un nuovo gruppo né per quelli passati. Da solo quindi a fare i conti con oltre 30 anni di musica vissuta e condivisa. Un pezzo di vita alla ricerca dell’incontro. Umano, creativo, sorprendente. Litfiba, Beau Geste, Cccp, Csi, Pgr, Marlene Kuntz, Franco Battiato, Andrea Chimenti, Cristina Donà, Robert Wyatt, Krypton, Carmen Consoli, Lorenzo Cheurbini, Timoria, Ivana Gatti, Masbedo, Federico Fiumani, Emidio Clementi, Miro Sassolini, Ginevra Di Marco, Howie B, Tuxedomoon, Hector Zazou, Alessandra Celletti, e molti e molti altri ancora... fino ad arrivare all’ incontro più speciale, quello con Claudio Rocchi e al nostro vdb23-nulla è andato perso. Questo è il presente da cui ripartire; ed è ciò che ora desidero raccontare in musica e come sempre, non sarò solo... verranno a farci visita a sorpresa amici e amiche di ieri, di oggi e di domani. hugs”.Marok


Date da definire

Teatro Studio Krypton

TRITTICO BECKETTIANO

Atto Senza Parole I, Non Io, L’ultimo nastro di Krapp

di Samuel Beckett

traduzione Carlo Fruttero e John Francis Lane

con Massimo Bevilacqua, Monica Benvenuti e Giancarlo Cauteruccio

scene André Benaim

costumi Massimo Bevilacqua

luci Trui Malten

musiche ed elaborazioni sonore Andrea Nicoli

movimenti di scena Brando Nencini

datore luci Lorenzo Bernini

suono Simone Marrucci

regia Giancarlo Cauteruccio

 

Torna al Teatro Studio ‘Mila Pieralli’ il Trittico Beckettiano con la regia di Giancarlo Cauteruccio, tre pièce brevi tra le più riuscite che il drammaturgo irlandese ha consegnato al teatro, capolavori che richiedono ai tre interpreti grande impegno e grande energia.

I protagonisti sono Massimo Bevilacqua per Atto senza parole I, Monica Benvenuti per Non io e lo stesso regista per L’ultimo nastro di Krapp.

Lo spettacolo ha ricevuto il premio alla regia dell’Associazione Nazionale Critici di Teatro nel 2006. Inoltre, Cauteruccio è stato definito uno degli interpreti beckettiani più importanti in Italia.

Giancarlo Cauteruccio ha basato la regia del Trittico Beckettiano sul lavoro degli attori e sul conseguente rigore dell’esecuzione, ma, come avviene normalmente nelle sue messinscena, ha prestato particolare attenzione anche all’elemento scenico-visuale.

In Atto senza parole I il lavoro mimico-gestuale esalta e sottolinea l’incisiva capacità di Massimo Bevilacqua di azione e espressione nello spazio scenico. Uno spazio abitato da oggetti in movimento pensati dall’autore, qui utilizzati in una macchineria di forte impatto. Il corpo muto di questo abitatore del deserto genera una sonorità che restituisce le tensioni interne nello spazio siderale che Beckett suggerisce: un concerto per corpo e vuoto, per azione e ininterrotti fallimenti.

Per Non io (uno dei più importanti dramaticule di Beckett in cui la sostanza teatrale si riduce a una bocca che parla di se stessa nel buio, uno dei ‘simboli’ più indicati a rappresentare la sua poetica) Cauteruccio assegna il ruolo di Bocca a Monica Benvenuti, soprano nota nel panorama nazionale e internazionale per le sue interpretazioni di musica contemporanea. La sua bocca invade il profondo vuoto in una prova di straordinario uso della voce. Una donna di età avanzata vive ai margini della società, nata prematura, abbandonata dai genitori non ha mai conosciuto né affetto né amore. Un ricordo la ossessiona, quello di un pomeriggio di aprile in cui la sua mente attraversa un buio ravvivato solo da un costante ronzio. È in questo vuoto che Bocca compie un salto spirituale che la costringe a ragionare sui temi del peccato e della misericordia, dapprima affrontati con sprezzante sarcasmo, poi via via con più cautela, quasi fossero un punto fermo cui aggrapparsi nella desolazione della sua esistenza.

Il terzo tassello del Trittico è un felice ritorno per Giancarlo Cauteruccio a un testo già diretto e interpretato in precedenza: L’ultimo nastro di Krapp. Nell’essenzialità della scena Krapp, il vecchio scrittore fallito, inesorabile mangiatore di banane e instancabile ascoltatore della sua voce registrata, si inoltra in “questo buio che mi circonda” per sentirsi meno solo. Rintanato nella sua stanza in compagnia di un magnetofono e un numero cospicuo di bobine ben ordinate, compie un viaggio in un altrove temporale, il suo passato. Tanti nastri, registrati ogni compleanno per tramandare brandelli di vita e di esperienza, vengono riascoltati e mescolati per poi dichiarare il fallimento. Una resa dei conti di un vecchio triste e ridanciano, ironico e autoironico, spesso con venature patetiche, sentimentali, struggenti, che alla fine si adegua consapevolmente allo scacco.

 

1 – 6 marzo (feriale ore 21; festivo ore 16)

Fondazione Teatro della Toscana

Teatro Stabile di Napoli

MEDEA

di Euripide

traduzione Maria Grazia Ciani

adattamento Gabriele Lavia

con Federica Di Martino, Daniele Pecci, Mario Pietramala, Angiola Baggi, Pietro Biondi, Francesco Sferrazza Papa, Sofia De Angelis, Giulia Horak

e con Silvia Biancalana, Maria Laura Caselli, Flaminia Cuzzoli, Giulia Gallone, Silvia Maino, Diletta Masetti, Katia Mirabella, Sara Missaglia, Francesca Muoio, Marta Pizzigallo, Malvina Ruggiano, Anna Scola, Lorenza Sorino

scenografia Alessandro Camera

costumi Alessio Zero

musiche Giordano Corapi; Andrea Nicolini

luci Michelangelo Vitullo

assistente alla scenografia Roberta Montemale

assistente alla regia Giovanna Guida

regia Gabriele Lavia

Durata: 1h e 20’ circa, atto unico

Dopo l’entusiasmante successo della scorsa estate al Teatro Romano di Fiesole la Fondazione Teatro della Toscana e il Teatro Stabile di Napoli presentano al Teatro Studio ‘Mila Pieralli’ la Medea con la regia di Gabriele Lavia. Un lavoro che scava nell’animo umano e nei grandi interrogativi della vita: Federica Di Martino è Medea, Daniele Pecci è Giasone. Lo spettacolo della diversità e dell’istinto attraversati da folgoranti visioni tragiche.

Medea è uno dei personaggi più celebri del mondo classico, per forza drammatica, complessità ed espressività. Euripide la mette in scena nel 431 a.C. e per la prima volta nel teatro greco (almeno quello che è arrivato sino a noi) protagonista di una tragedia è la passione, violenta e feroce, di una donna. Forte, perché padrona della sua vita, tanto da distruggere tutto quello che la lega al suo passato. Una donna diversa, una barbara in una città che la respinge. Gabriele Lavia legge oggi nel capolavoro euripideo il viaggio verso un personaggio sradicato in un paese straniero. “Medea è una donna tradita”, spiega il regista, “è una donna che viene da lontano. È ‘figlia del Sole’, non perché partorita dal dio Sole, ma perché viene dal mondo in cui il Sole sorge. Viene dal Caucaso, dall’Oriente, è un’altra cultura. È quel mondo che parla il ‘barbar’, cioè balbetta la lingua greca, da cui ‘barbaroi’, ‘barbari’. Giasone sposa Medea: è come se un signore di Stoccolma sposasse la figlia del re di una tribù dell’Amazzonia, che però ha delle conoscenze che a noi sfuggono”.

La scena si svolge a Corinto, dove Medea vive con Giasone e i loro due figli. La donna ha aiutato il marito nell’impresa del Vello d’oro e abbandonato il padre Eeta, re della Colchide e fratello di Circe. Dopo dieci anni, però, Creonte, re della città, vuole offrire sua figlia Glauce in sposa a Giasone, dandogli così la possibilità di successione al trono. Giasone accetta e abbandona Medea. Federica Di Martino, dopo Le troiane, regia di Federico Magnano San Lio (2008) e Andromaca, di Alessandro Maggi nel 2009, interpreta Medea, mentre Daniele Pecci, attore di cinema e televisione, imponente e tirannico Edipo nel 2013 al Teatro Greco di Siracusa, è Giasone. Mario Pietramala è Creonte, Angiola Baggi la Nutrice, Pietro Biondi il Pedagogo, Francesco Sferrazza Papa il Messaggero. Figure di importanza fondamentale per la trama, quali i figli della coppia, interpretati da Sofia De Angelis e Giulia Horak, sono continuamente presenti (tanto nei discorsi dei personaggi quanto sulla scena), senza però mai esprimersi direttamente. Euripide intende avvolgerli in un’atmosfera drammatica, come per mostrare al pubblico il terribile destino cui vanno incontro.

Medea è un ‘testo’, come si dice, antico”, prosegue Lavia, “antico non vuole dire morto, passato. Al contrario, più è antico e più è vicino a una ‘origine’. L'origine di qualcosa è ciò a partire da cui e per cui una cosa è quella ‘cosa’ che è. L’origine di qualcosa è la sua essenza. Medea, dunque, è più vicina all’essenza del teatro di qualunque testo più recente o, addirittura, attuale”.

Malgrado la disperazione, vista l’indifferenza di Giasone, la donna medita una tremenda vendetta. Fingendosi rassegnata, manda in dono un mantello alla giovane Glauce, la quale, non sapendo che in realtà è pieno di veleno, lo indossa per poi morirne fra dolori strazianti. Il padre Creonte, corso in aiuto, tocca anch’egli il mantello, e muore. Ma la vendetta di Medea non finisce qui: per assicurarsi che Giasone non abbia discendenza, uccide i figli avuti con lui condannandolo all’infelicità perpetua. Creatura di passioni e di istinti che si direbbero disumani se non fosse così potentemente e intimamente donna, Medea è quasi una forza della natura allo stato essenziale, che la ragione serve soltanto a rendere consapevolmente feroce, senza poter imporre alcun freno all’animo indomito. “Medea, che si ripete sempre la ‘stessa’ e mai uguale (poiché cambiano gli attori)”, precisa Lavia, “è ‘contemporanea’ cioè unisce il tempo antico al nostro presente e mette in crisi una certa attualità di oggi, svelandone la falsità. Che cosa è contemporaneo nell’antichissimo? Proprio il fatto che qualcuno lo ‘ripeta’. E per ripetere bisogna apprendere”.

Euripide riesce nella difficile impresa di motivare psicologicamente una donna che è l’antitesi della ragione. Affermandone la dignità, concetto che stava prendendo forma nell’Atene dell’epoca.

 

18 – 19 marzo, ore 21

CTB Centro Teatrale Bresciano

GHERTRUDA LA MAMMA DI A.

La donna che volle esser regina nella terra di Amleto

di Davide Rondoni

un progetto di Davide Rondoni e Laura Piazza

con Laura Piazza

regia Filippo Renda

Geltrude, la madre del principe Amleto, è la protagonista di Ghertruda la mamma di A., intenso testo poetico scritto da Davide Rondoni, uno dei maggiori poeti italiani contemporanei, non nuovo a incursioni nel mondo del teatro. Protagonista è Laura Piazza, interprete sensibile, sapientemente guidata dal regista Filippo Renda.

In Amleto Geltrude è un personaggio di non facile interpretazione: travolta dagli eventi non sostiene il figlio, non capisce il suo agire e rimane fedele al nuovo re, il nuovo marito.

In Ghertruda Davide Rondoni immagina che la regina torni agli eventi della sua tragica vita cercando dapprima di difendersi davanti a una giuria immaginaria, di dimostrare la propria condotta impeccabile, poi tentando di condannare gli altri personaggi del dramma: Claudio, Amleto padre, il figlio Amleto e perfino Ofelia. Ma, come ogni colpevole, la regina non desidera altro che confessare per venire condannata, e così finalmente, può ammettere il proprio fallimento.

“Nessuno le ha più dato voce”, afferma Davide Rondoni, “agli altri sì, a lei no. Ora ha facoltà di parola. O forse di gèmito, di grido, di latrato e di bacio ancora. Lei la mamma di Amleto. E forse di noi. Un rischio farla tornare in scena. Lei così donna così madre così indomita. I morti dietro la vetrata continuano la loro strana festa. E lei ora dice: vi racconto io come sono andate le cose, come vanno nella storia di Amleto e di voi figli”.

Il testo si pone nel solco della tradizione dei monologhi di Testori, groviglio di religiosità e carnalità. Un cortocircuito tra l’alto lirismo e i rumori, irriverenti e dissacranti, della città metropolitana. Rondoni ha voluto donare questo monologo alla sua interprete, Laura Piazza, giovane attrice che ha lavorato con grandi registi, da Albertazzi a Calenda, da Carmelo Rifici a Claudio Longhi. Ghertruda è dunque espressione di una “alleanza”, di un itinerario di ricerca dai due intrapreso sul teatro di poesia militante e sulla parola poetica a teatro.

 

12 – 14 aprile, ore 21

Teatri Uniti

Lica Maglietta

MANCA SOLO DOMENICA

tratto da Pazza è la luna di Silvana Grasso

scritto e diretto da Licia Maglietta

In una Sicilia senza tempo, Licia Maglietta porta in scena una figura insieme mitica e reale, che incarna l’esuberanza della vita, ma con sguardo sorridente e commosso. 

Nel romanzo, come sulla scena, si rivela la curiosa vicenda di donna Borina, all’anagrafe Liboria Serrafalco, sposata Liuzzo, immaginaria e devotissima vedova di sei defunti sconosciuti, scelti come indimenticati mariti “adottivi”. Le inconsapevoli spoglie di questi uomini diventano “oggetto” di un rito quotidiano che la donna dedica ad essi con puntuali visite e in cui adorna di rose baccarà le loro lastre tombali. È il modo con cui Borina rifiuta la frustrazione di un amore mancato, di un rapporto infelice, alla ricerca di sentimenti e passioni forti.

“Esistono amori che non danno la felicità ma… se ne possono vivere altri! Borina trasforma tutto fino all’estremo. La sua vulnerabilità non è stata rispettata e lei si riappropria di tutto e di tutti. Andare lontano dalla propria casa. Fantasticare una vita di sentimenti amorosi e luttuosi. Desiderare passioni, amori e soprattutto uno status, riconosciuto da tutti, da poter portare dipinto sulla faccia come una voglia di fragola. E se la realtà le impedisce di continuare a vivere tutto questo Borina non se ne preoccupa: pianifica. Come una straordinaria attrice dal lunedì al sabato accanto alla sua vita piatta e prevedibile, come quella di tutto il paese, ne affianca un’altra fatta di tournée in altri luoghi nel suo ruolo di Vedova! L’unico cruccio resta la domenica. Sì, manca solo la domenica…” Licia Maglietta


27 – 30 aprile, ore 21 

Compagnia TEATROZETA L’Aquila

LE NOSTRE DONNE

di Eric Assous

con Edoardo Siravo, Manuele Morgese, Emanuele Salce

musiche originali di Patrizio Marrone

regia di Livio Galassi

Le nostre donne è una commedia brillante tutta al maschile. Tre sono i personaggi che dipingono dal loro mondo, maschile appunto, il mondo femminile, in un intreccio ritmato e incalzante con protagonisti d’eccezione Edoardo Siravo, Manuele Morgese, Emanuele Salce. Lo spettacolo, inedito in Italia, ha avuto un enorme successo in Francia nell’ultima stagione grazie all’intreccio brillante e accattivante del testo, e alla partecipazione di tre grandi interpreti come Jean Reno, Richard Berry, Patrick Braoudé.

Una sera Max e Paul si trovano a casa di Max per la solita partita a carte. Stanno aspettando Simon che è in ritardo. Quando quest’ultimo arriva, sconvolto, confessa di aver strangolato la moglie e cerca negli amici un alibi. Opposte sono le posizioni di Max e Paul: più intransigente il primo, più indulgente il secondo.

Livio Galassi, che firma la regia de Le nostre donne, ha immaginato un impianto scenico esilarante e a tratti grottesco, con un incalzante ritmo dettato dalla singolarità dei tre protagonisti e che si rifà al cinema.

I tre amici parlano per tutta la notte delle rispettive mogli, della loro amicizia fino a che Simon – dopo tre pasticche di tranquillante – crolla sul divano. Max e Paul discutono allora se mentire alla giustizia per proteggere l’amico oppure denunciarlo. Quando Simon si sveglia, il telefono squilla. È la polizia: la moglie di Simon – che era svenuta, non morta – lo ha denunciato per violenza.

Le nostre donne è scritto da Eric Assous, regista, sceneggiatore, dialoghista e autore, nato a Tunisi nel 1956, e attualmente residente in Francia. È autore di 80 radiodrammi e numerosi spettacoli e sceneggiature per la televisione e per il cinema. Ha vinto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Molière.

 

6 – 8 maggio (feriale ore 21; festivo ore 16)

Marche Teatro

in coproduzione con Festival delle Colline Torinesi

Marco Baliani

TRINCEA

scritto da Marco Baliani

scene e luci Lucio Diana

musica e immagini Mirto Baliani

visual design David Loom

costumi e elementi di scena Lucio Diana, Stefania Cempini

direttore di produzione Marta Morico

comunicazione e ufficio stampa Beatrice Giongo

regia Maria Maglietta

Il corpo di un soldato nelle trincee della Prima Guerra Mondiale. Trincea di e con Marco Baliani è uno scavo dentro la disgregazione spirituale di quel singolo corpo. Movimento, suono, immagini, parole cercano di mostrare l'indicibile di quella guerra, la follia, la paura, la perdita di identità, la trasformazione di esseri umani in ingranaggi di un'enorme fabbrica produttrice di morte. E su tutto la fame, di cibo, di acqua, di umanità, di relazioni. Uno spettacolo aspro, crudo, a tratti grottesco, un viaggio dentro la notte della nostra modernità, che ha ricevuto il logo ufficiale delle Commemorazioni del Centenario della Prima Guerra Mondiale dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Struttura di Missione per gli anniversari di interesse nazionali. 

“Sono trascorsi cento anni dal primo conflitto mondiale. Ci saranno celebrazioni, pubblicazioni, conferenze, riflessioni, e altro ancora.

Io vorrei provare a toccare un piccolo punto di quell’immensa catastrofe, un solo corpo, quello di un qualsiasi soldato, anonimo, non appartenente ad una precisa nazionalità, e toccare quel corpo nel luogo più emblematico di quella guerra, la trincea.

Vorrei tentare di essere laggiù, in quel punto di una trincea di molti anni fa, ed esserci prima di tutto fisicamente, come corpo, in una forma di mimesi totale, in modo da essere così immerso nella dimensione dell’orrore e della sua gratuità da percepire almeno per un istante “il tipo di esistenza” di quel soldato.

Per il soldato in trincea il tempo si assolutizza in un puro denso presente, un tempo inceppato nella minuta quotidianità della sopravvivenza, fatto di gesti folli divenuti normali, di azioni compiute per inerzia, senza speranza di cambiamenti. La percezione del tempo, impedisce alla parola di farsi discorso, essa gira in un flusso vegetativo o semidormiente, si etilizza, ubriaca di terrore o di fame o comunque di mancanze. La narrazione non può più espletarsi in un flusso temporale continuo lineare e accertato da un inizio e una fine, ma viene spezzata, impossibilitata a compiersi, gli improvvisi vuoti dell’anima non sono più ricomponibili né colmabili in parole, il vivere diviene un inarrestabile fluire di frammenti, come frammentato appare il Tempo per chi in ogni istante è sottoposto alla casualità di un morire inutile e atroce.

L’individuo perde la coscienza della propria individualità, il singolo soldato diviene ingranaggio di una immensa fabbrica produttrice di morte, è un pezzo di ricambio, un pezzo di artiglieria fatto di carne umana.

La Prima Guerra Mondiale sperimenta su larga scala una forma di totale assoggettamento dell’uomo, la sua riduzione ad automa, fantoccio, cosa. È da qui, da quel momento storico che si inaugura in occidente la possibilità di un controllo biopolitico del corpo umano, in forma industriale, di massa. Aprendo la strada ai tanti totalitarismi del terrore del nostro Novecento”. Marco Baliani

A cura dell'ufficio stampa del Teatro della Toscana

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Pubblicata Giovedì 04 Febbraio 2016 16:34
Ultimo aggiornamento Domenica 07 Febbraio 2016 00:33